282019Mag
Ansia e Choking: le Sabbie Mobili nello sport

Ansia e Choking: le Sabbie Mobili nello sport

Jimmy McGinty: “C’è qualcuno qui che abbia paura di qualcosa che non sia un insetto?”

Shane Falco: “Le sabbie mobili.”

Clifford Franklin: “Che intendi dire Shane? “

Shane Falco: “Be’… Tu stai giocando. E pensi che tutto stia andando bene. Poi una cosa va storta. Un’altra. E un’altra. Tu provi a reagire, ma più cerchi di lottare, e più sprofondi. Finché non riesci più a muoverti. Non riesci a respirare, perché sei sopraffatto. Come nelle sabbie mobili.”



LE RISERVE

Keanu Reeves e Gene Hackman sono i protagonisti del film “Le Riserve” da cui è tratto questo breve scambio di battute.

I due interpretano rispettivamente l’ex-quarterback semiprofessionista Shane Falco e il coach in pensione Jimmy McGinty, chiamati a guidare i Washington Sentinels nelle ultime 4 gare della stagione a seguito dello sciopero dell’NFL del 1987 causato dai problemi contrattuali legati alle richieste dell’aumento salariale, respinte dalle società.

LE PAROLE DEL CAPITANO

In questo dialogo, vengono messi in luce due problemi molto comuni nel mondo dello sport: l’ansia da competizione e il choking. Più siamo preoccupati di come giocheremo e più saranno gli ostacoli che disturberanno la nostra prestazione.

L’ansia ha origini da quello che Selye definiva “meccanismo dello stress, ovvero la capacità di un organismo di rispondere in maniera adeguata agli stimoli provenienti dal mondo esterno.

Nello sfortunato caso in cui un atleta non sia allenato a gestire queste situazioni, le conseguenze possono essere davvero negative in quanto la normale attività mentale viene interrotta e viene perso il collegamento con l’ambiente esterno.

Lo stato di completa immobilità di fronte agli eventi evidenziato in poche battute dal nostro Falco/Reeves viene detto choking.

Questo fenomeno si verifica quando l’attivazione dell’atleta non è ottimale, ma diventa troppo intensa finendo con il causare uno stato paradossale in cui il desiderio di riuscire bene e la voglia di ottenere un risultato positivo devono fare i conti con la scarsa qualità della performance messa in atto in quel preciso momento.

Le due principali cause, paradossalmente, sembrano essere la distrazione e al tempo stesso la concentrazione eccessiva:

  • la distrazione, perchè l’atleta perde il controllo della sua attenzione che resta attratta da elementi che non riguardano la performance;
  • un’eccessiva concentrazione sul compito: in questi casi lo sportivo inizia a ragionare e analizzare mille dettagli della prestazione, il risultato è che annega in un mare di pensieri.

IL MENTAL TRAINING COME POSSIBILE SOLUZIONE

Nonostante lo scenario appaia oscuro e senza speranza, la luce in fondo a tunnel è rappresentata da quelle tecniche che uno psicologo dello sport conosce e può insegnare agli atleti con cui collabora.

Si va dalla respirazione diaframmatica (alla base della maggior parte di queste tecniche) al rilassamento muscolare progressivo di Jacobson, dal training autogeno agli esercizi di meditazione, di mindfulness, di visualizzazione e a quegli strumenti più specifici come il biofeedback.

Imparando queste tecniche, che possiamo considerare come delle vere e proprie abilità alla pari di ogni gesto tecnico eseguito durante l’allenamento, l’atleta raggiunge in maniera rapida ed efficiente uno stato di rilassamento durante il quale impara a gestire e a percepire l’ansia e a indirizzare in maniera ottimale questo stato di attivazione.

Iniziando un percorso di collaborazione con uno psicologo dello sport, le cosiddette “sabbie mobili” lascerebbero spazio a un morbidissimo e curatissimo manto verde sul quale passeggiare in tranquillità.





Lorenzo Colonna



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